Senza categoria

Luis Buñuel – Dei miei sospiri estremi.

“È triste a dirsi, caro Luis, ma lo scandalo non esiste più” – André Breton 1955.

Nel 1982 esce questa autobiografia di Buñuel scritta insieme a Jean Claude Carrière, suo fedele cosceneggiatore nell’ultimo periodo della sua attività. Buñuel ormai vecchio e savio, osserva e rammenta con compiaciuta pacatezza tutto quello cui un tempo partecipava aggredendo. Come fosse stata una burla, quella di agire in assoluta libertà creativa e con dissacrazione, per realizzare i due film simbolo del Surrealismo. Come fosse stato un gioco, convincersi che il cinema sia un’arte visiva come la pittura, da considerare al di fuori delle logiche del sistema industriale e in opposizione al cinema commerciale, dopo di che, iniziare a sperimentare nuove formulazioni stilistiche per innovarlo.

Esattamente come i suoi film che pongono dubbi e domande, proprio come tutte le verità ambigue e molteplici che la sua interpretazione ha fatto emergere, questo racconto divertito conferma l’esistenza delle tante facce di Buñuel.

Ha un tono a metà, tra lo sconcertato e il fiero, nel ricordare l’atmosfera medievale percepibile ancora nel 1900, anno della sua nascita, nella regione aragonese da cui proviene. Una società agricola divisa in classi distinte, isolata e immobile, dove la vita è guidata dai rintocchi delle campane della chiesa del Pilar, perché la religione è concepita come pilastro della società, e il rapporto con Dio un impegno collettivo imprescindibile, tanto che, qualsiasi cosa accada, avviene sulla base della provvidenza divina. -“A dodici anni credevo ancora che i bambini venissero da Parigi, ma senza cicogna, arrivavano in treno o in carrozza”-. Quando poco dopo si chiederà il perché dell’orrore del sesso nella religione cattolica, si darà come risposta che in una società dove il sesso non rispetta barriere può diventare un fattore di disordine e di autentico grido. A quattordici anni manifesta dubbi sulla religione. L’origine dei dubbi fu la realtà dell’inferno e soprattutto del giudizio universale, per lui una scena inconcepibile. – “Come sia possibile immaginare tutti quei morti, di tutti i tempi e di tutti i paesi, nell’atto di alzarsi improvvisamente dal cuore della terra, come nei dipinti medievali, per la resurrezione finale?”- Malgrado la chiusura in provincia la sua vita è agiata, la sua famiglia è ricca, gli consente gli studi presso i gesuiti, vacanze nelle località di mare, di frequentare il teatro e anche il cinema. Fino alla guerra del ’14 il mondo gli appare come una terra immensa e lontana, scossa da avvenimenti che non lo toccavano. Il cinema fu una piacevole scoperta che fece intorno agli otto anni. Ricorda il primo film visto, un cartone animato dove un maiale cantava. Il cinema era l’irruzione di un elemento assolutamente nuovo nell’universo medievale che lo circondava. Nei primi venti o trent’anni della sua esistenza, il cinema fu considerato un semplice svago di fiera, alquanto volgare, buono per il popolino, senza un avvenire artistico. Anche lui all’inizio lo percepiva come un diversivo per distrarsi. Le cose importanti erano la poesia, la letteratura, la pittura. Non pensava di diventare regista, scriveva poesie. Si riallacciava all’ “ULTRAISMO” che collocava all’estrema avanguardia dell’espressione artistica. Conosceva il dadaismo, Cocteau e ammirava Marinetti. Il Surrealismo era di là da venire. L’interesse vero verso il cinema arrivò quando iniziò a frequentare le sale cinematografiche, anche tre volte al giorno, vedendo i film di Eisenstein, di Lang, di Keaton. Conobbe Jean Epstein, diventò suo factotum e da lui imparò abbastanza. Quando annunciò a sua madre che voleva realizzare film, lei rimase sconvolta. Ci volle l’intervento di un notaio per convincerla, il quale spiegò che il cinema permetteva di guadagnare somme non trascurabili. Così lei finanziò, ma non vide mai i film cui aveva contribuito.

Il sostrato su cui si sviluppa la sostanza espressiva di Buñuel, è un complesso di elementi: 1-il naturalismo e il mondo reale, indagati attraverso la macchina da presa che dà la possibilità di metterne in luce aspetti inediti. 2-l’interesse verso il sogno e il mondo onirico, come via privilegiata verso l’inconscio. 3-l’evidenza delle pulsioni e dei desideri rimossi che spesso si orientano verso l’eversione, la pulsione di morte e la distruzione. 4-il bene e il male attraverso la prospettiva religiosa e la sua inadeguatezza.

Buñuel racconta che l’incontro con i surrealisti fu decisivo. Al café Cyrano si incontrava con Aragon, Breton, Max Ernst, Eluard, Tzara, Magritte, Tanguy. Il Surrealismo fu innanzitutto una specie di appello raccolto qua e là, negli Stati Uniti, in Germania, in Spagna, dove veniva già praticato in forma istintiva e irrazionale. I surrealisti non si consideravano né attivisti né terroristi, lottavano contro una società che detestavano, usando come arma principale lo scandalo, rivelatore onnipotente, capace di mettere a nudo il sistema da abbattere. In seguito, qualcuno come Aragon, si diede alla politica attiva entrando nel partito comunista, ma ne fu cacciato presto. Tuttavia l’obiettivo vero non era neanche creare un movimento letterario, pittorico o filosofico, quanto far esplodere la società. La morale surrealista era aggressiva e offendeva la morale comune, si basava sull’esaltazione della passione, l’insulto, la risata nera, il richiamo degli abissi.

Sempre più attratto dalle forme irrazionali, Buñuel rafforza la sua vocazione attraverso questa concezione. Il sogno, anche fosse un incubo, è una folle passione. I sogni sono inseriti nei film cercando di evitare l’aspetto razionale ed esplicativo che hanno. Ci sono anche i sogni ricorrenti, le fantasticherie diurne, l’immaginazione. Un chien andalou nasce dall’incontro di due sogni, uno di Buñuel l’altro di Salvador Dalì e da una semplice regola: nessuna idea. Non c’è immagine in grado di condurre a una spiegazione razionale, psicologica o culturale. Aprono le porte e accolgono le immagini che li colpiscono. Racconta che gli attori non sapevano neanche cosa stavano recitando, seguivano le indicazioni aggiungendo le dosi di pathos richieste e basta. Il film fu denunciato per oscenità e crudeltà, ci furono persino due aborti durante le proiezioni, tuttavia non venne proibito.

Un chien andalou – L’age d’or

Con quel precedente era impossibile realizzare un film commerciale. Ciononostante molte erano le idee. Ha la fortuna di conoscere gli aristocratici Moailles, trova in loro amicizia e supporto malgrado gli attacchi che subiscono, le denunce e persino la minaccia di una scomunica. Si mostrano entusiasti e gli finanziano L’age d’or. Con una narrazione più lineare rispetto al film anteriore, anche questo sceneggiato insieme a Dalì, ne mantiene l’aggressività nello svelamento dell’ipocrisia del decoro sociale, nella rappresentazione dissacrante delle istituzioni, nella ribellione, la morbosità sessuale, l’erotismo. Il film sarà bandito dalle sale cinematografiche per decenni, fu possibile vederlo solo in sale private o nelle cineteche.

Cinquant’anni dopo, Buñuel riflette sul Surrealismo. Ritiene che il movimento abbia trionfato sulle cose secondarie ma abbia fallito su quelle essenziali. Oggi quegli scrittori e pittori si trovano ben piazzati nelle biblioteche e nei musei, hanno ottenuto quel successo artistico e culturale che è proprio quello che gli importava di meno. Il desiderio era quello di trasformare il mondo, cambiare la vita, ma naturalmente, dice, non poteva che finire così, valutando quel gruppo come -“Un piccolo gruppo di insolenti idealisti contro le forze incalcolabili e sempre rinnovate della realtà storica”-. Ridimensiona le sue posizioni, dicendosi convinto che la maggioranza delle intuizioni erano però giuste, come quella sul lavoro. -“Valore sacrosanto della società borghese, i surrealisti lo hanno attaccato per rivelare la menzogna. Per dichiarare che il lavoro salariato è una vergogna. Il lavoro che bisogna fare per vivere non ci onora, serve solo a riempire la pancia dei porci che ci sfruttano. Quello che si fa per divertimento, per vocazione, nobilita l’uomo”-. Sempre con un tono a metà tra l’irridente e il serio, svela ciò che ha conservato di quegli anni -“Il libero accesso alla profondità dell’essere, quell’appello all’irrazionalità, all’oscurità e a tutti gli impulsi che vengono dal nostro io profondo. Quello che mi è rimasto, è anche la diatriba interna tra i principi di tutte le morali acquisite e la mia personale, nata dall’istinto e dalla mia esperienza attiva. Di conseguenza l’esigenza morale chiara e irriducibile cui ho tentato di rimanere fedele, con la quale sento lo scontro verso l’egoismo, la vanità, la cupidigia, l’esibizionismo, la faciloneria, la leggerezza e l’odio. Qualche volta vi ho ceduto ma spesso, grazie all’esperienza surrealista, ho resistito.”-

Nel 1930 si reca in America, su invito di un dirigente della MGM che gli confessa di aver visto “L’age d’or” che non gli è piaciuto, ma comunque lo ha colpito. Gli offre la possibilità di imparare la tecnica nell’unico posto dove questa è eccezionale, Hollywood. Qui Buñuel frequenta i set e conosce Chaplin. Viene a sapere che spesso in privato guarda “Un chien andalou”, che durante una proiezione, uno dei suoi camerieri diventato per l’occasione proiezionista, svenne. Oppure, che racconta alla figlia Geraldine alcune scene, per il solo gusto di farla spaventare. In America rivede Eisenstein che aveva conosciuto a Parigi, ed è ancora indignato con lui perché, dopo “La corazzata Potemkin”, realizza “Romance sentimentale”. Un film dove si poteva ammirare un pianoforte bianco in un campo di grano agitato dal vento, dei cigni che nuotano in uno stagno. Buñuel considera questi dettagli delle canaglierie. È così indignato che lo cerca nei caffè di Montparnasse per assestargli due sberle. In America dove lo rivede, Eisenstein gli risponde che in realtà quel film non è suo ma di un suo operatore. Buñuel sostiene che sono balle, lo ha visto direttamente dirigere la scena dei cigni. A Hollywood osserva Joseph von Sternberg su un set dove ogni cosa era diretta da altri, persino le macchine da presa erano collocate dallo scenografo. Questo modo di considerarsi registi, il culto del divismo, l’appoggio a tutto questo dato dai grandi produttori, suscitano la sua diffidenza. Il cinema americano non gli permise di realizzare quello che avrebbe voluto e rifiutò quello che gli proponevano. Con sprezzante ironia liquida l’esperienza amercana: -“In quegli anni il cinema americano seguiva una codifica meccanica e prevedibile: un ambiente, una certa epoca più un certo personaggio, portavano a una conclusione finale del film inevitabile e mai originale. Von Sternberg prendeva storie banali e le trasformava in film.”

Torna in Europa e dal 1936 al 1939 in Spagna c’è la guerra civile. -“Io che desideravo con tutte le mie forze la sovversione, il rovesciamento dell’ordine stabilito, adesso avevo paura. Certi gesti mi sembravano magnifici, come quelli degli operai che andavano fino al monumento del Sacro Cuore di Gesù, formavano un plotone e fucilavano con tutte le regole l’alta statua di Cristo. In compenso detestavo le esecuzioni sommarie, i saccheggi, gli atti di banditismo. Il popolo si ribellava, subito dopo prendeva il potere e si divideva. I regolamenti di conti facevano dimenticare la guerra essenziale, l’unica che avrebbe dovuto contare “.- Tra i suoi vecchi amici la sorte peggiore tocca a Garcia Lorca che, schieratosi apertamente con i repubblicani, viene fucilato dai falangisti. Tra Buñuel e Lorca non c’erano già più contatti a causa dei continui scontri intellettuali, ma userà parole colme di ammirazione nel ricordare il vecchio amico: -“Federico è il più importante di tutti gli esseri umani che ho conosciuto. Non parlo del suo teatro né della sua poesia, parlo di lui. Il capolavoro era lui. Che si mettesse al piano a imitare Chopin, che improvvisasse una pantomima, una breve scena teatrale, era irresistibile. Poteva leggere una cosa qualsiasi e la bellezza usciva sempre dalle sue labbra. Aveva la passione, la gioia, la gioventù. Era come una fiamma.”- Anche Buñuel collabora con i repubblicani, ma a distanza di anni fa dichiarazioni su Franco che velano di ambiguità l’attivismo politico con il quale si era opposto al regime.

Gli eventi, il mutato clima politico, lo costringono a confrontarsi e, inevitabilmente, a riflettere sulle utopie e sulle prese di posizione politiche, etiche e morali.

Sono ateo per grazia di Dio “ Il film nel quale dichiara di aver esposto la sua più convinta idea è Il fantasma della libertà. Il “caso” è per lui il grande arbitro del mondo. -“La funzione del caso svanisce quando si edificano le società umane e gli esseri umani vengono sottoposti a quelle leggi. Le leggi, le consuetudini, le condizioni storiche e sociali di una data evoluzione, di un dato progresso, tutti quello che contribuisce alla stabilità di una civiltà cui apparteniamo, tutto questo si presenta come una lotta quotidiana e tenace contro il caso che cerca di adattarsi alla necessità sociale “.- -“Accanto al caso c’è il mistero. Poiché mi rifiuto di far intervenire una divinità organizzatrice, non mi rimane che vivere in una specie di tenebra. La scienza spiega. Ma a me la scienza non interessa. Ignora il sogno, il caso e il sentimento. La smania di capire è una delle nostre sciagure. Se fossimo capaci di rimettere al caso il nostro destino e accettare il mistero della vita, potremmo godere di una certa felicità, parente prossima dell’innocenza. Orrore di capire, felicità di accogliere l’imprevisto. Tra il caso e il mistero s’insinua l’immaginazione, libertà totale dell’uomo, è il nostro privilegio. A volte irrazionale, senza spiegazione, a meno di impantanarsi negli stereotipi della psicoanalisi.”

Dal 1946 al 1961 vive in Messico, dove gira in media tre film all’anno, con scarsi mezzi e pochi soldi. I film sono diversissimi, a volte con soggetti e attori che non ha scelto lui ma che non rinnega, perché nessuna scena è contraria alle sue convinzioni e alla sua morale.

A dimostrazione che tutto sommato non ha perduto la propria carica eversiva, dirige Los olvidados. Mette in scena i ragazzi dei sobborghi di Città del Messico in un film fortemente realistico, con aspetti atroci, dove osa mostrarsi impietoso anche verso la miseria. Ciascuno lotta con qualsiasi arma perché, fondamentalmente, non esiste qualcuno più infelice di sé. Il film suscita rabbia e reazioni violente anche da parte degli intellettuali messicani. In Francia George Sadoul racconterà a Bunuel come il PCF lo costrinse a parlarne male nelle sue recensioni, perché il poliziotto e il direttore del riformatorio nel film si comportano in maniera corretta, argomentando puerilmente l’impossibilità di correttezza implicita in queste figure. Sarà grazie ad Octavio Paz, poeta messicano, che scrisse un bellissimo articolo durante il festival di Cannes, che le cose migliorarono e il film ottenne il premio per la regia. Dice Andrè Bazin: -“È assurdo rimproverare a Buñuel un gusto perverso della crudeltà….. È vero che sembra scegliere le sue situazioni per il loro parossistico orrore…. Se sceglie ciò che c’è di più atroce, è perché il vero problema non è sapere se esiste anche la felicità ma fin dove può arrivare la condizione umana nell’infelicità”. –

Nazarin. (Cristo che ride nella visione di Andara)

Con Nazarin affronta il tema del bene e del male sviluppato dalla prospettiva religiosa. Nazarin è un sacerdote totalmente inadeguato alla società in cui opera. Sospeso tra santità e miseria umana, ricorda da un lato Cristo umiliato e offeso, dall’altro un personaggio dostoevskiano nella sua ostinazione ingenua e maldestra a operare il bene senza comprendere come fare.

Dopo il congedo con la realtà dell’America latina, realizza Viridiana e Langelo sterminatore. Il primo è un film scandalo girato in Spagna, di grande effetto provocatorio, basato sulla descrizione di un percorso di fede di una donna che, suo malgrado, si trova a percorrere sentieri ambigui. L’opera è leggibile su più piani: come espressione surrealista, attraverso un linguaggio psicoanalitico nelle scissioni psichiche legate alla fede al sacro e al dualismo corpo spirito, oppure un attacco alla religione. L’attacco alla religione di Buñuel, è un attacco all’idealizzazione del mondo. Viridiana è antidealistica, infatti non è il bene a trionfare ma il male. Per ciò che riguarda la lettura psicoanalitica delle sue opere, Buñuel dice: -“La scoperta di Freud e dell’inconscio mi hanno dato parecchio. Tuttavia la psicanalisi così, sembra una disciplina arbitraria, perennemente smentita dal comportamento umano”.- L’angelo sterminatore è un film particolare. Abbonda di elementi simbolici e metafisici ma anche di tensione, come in un thriller. L’assenza di logica-razionale corrisponde all’idea di Buñuel dell’incapacità di rinnovarsi della borghesia e della chiesa che considera istituzioni morenti.

Buñuel si stabilisce in Francia e si accinge a realizzare, insieme a Jean Claude Carrière, un capolavoro dietro l’altro. Frutto di una creatività e di una libertà espressiva senza freni, dal 1964 sino al 1977 dirige: Diario di una cameriera, Bella di giorno, La via lattea, Tristana, Il fascino discreto della borghesia, Il fantasma della libertà, Quell’oscuro oggetto del desiderio.

A leggere questo libro di memorie ci si diverte molto. È la ricapitolazione di episodi pubblici e privati, di eventi storici, osservazioni, aneddoti, scandali, burle, conversazioni da caffè. Riporta, però, anche pensieri profondi. -“… Alla mia età lascio dire. La mia immaginazione continua a esistere e, nella sua inattaccabile innocenza, continuerà a sostenermi fino all’ultimo respiro. Orrore di capire. Felicità di accogliere l’imprevisto. Vecchie tendenze che si sono accentuate col passare degli anni. Mi ritiro ogni giorno di più. L’anno scorso ho calcolato che in sei giorni, ossia centoquarantaquattro ore, ne avevo trascorse solo tre a conversare con gli amici. E per il resto, solitudine, fantasticherie, un bicchier d’acqua o un caffè, l’aperitivo due volte al giorno, un ricordo che mi sorprende, un’immagine che mi visita, e poi una cosa tira l’altra ed è già sera.”-

E per chiudere, un ultimo scherzo. -“Adesso che mi avvicino all’ultimo respiro, immagino spesso un’ultima burla. Faccio convocare alcuni vecchi amici, atei convinti come me. Sono tristi, attorno al mio letto. A questo punto entra un prete. Con grande scandalo degli amici, mi confesso, chiedo l’assoluzione di tutti i miei peccati e ricevo l’estrema unzione. Dopo di che mi giro su un fianco e muoio.”-

Don Luis e sua moglie Jeanne.
Pubblicità